domenica 18 marzo 2018

Celestino V e l'alto casertano - 2 -

Continuo sullo studio del Caiazza per la nascita di Celestino V nell'alta Terra di Lavoro sperando di rendere un servigio a questa terra, a quanti in essa sono nati ma soprattutto  omaggio e giustizia ad un personaggio che andrebbe amato incondizionatamente per la sua opera e il suo insegnamento, oggi, quanto mai attuale, in questo mondo perduto nell'oblio  dei potenti di turno e di chi comanda aggirando le regole ed il buon andamento del vivere civile. (CDC) 

                                             CELESTINO E IL VAIRANESE

E, cosa ancora più notevole  della mera individuazione della terra natale, credo sia ragionevolmente dimostrato che studiò nella vicina abbazia cistercense di Santa Maria della Ferrara, sita su un colle presso la riva del Volturno, non lungi da Vairano, e che qui fece la professione religiosa, vestì l'abito bianco dei Cistercensi, ed apprese la devozione allo Spirito Santo che fu peculiare e predominante solo in questa abbazia, e nell'universo monastico medievale condivisa solo da Gioacchino da Fiore e da Placido da Roio, entrambi ex cistercensi e fondatori di  monasteri con regola più rigorosa di quella originaria, vicini al sentire di Pietro Celestino che certo si ispirò all'Abate Calabrese.
Se non erriamo, dalla  Ferrara, cenobio che possedeva eremi, che non furono sufficienti alla sete di colloquio solitario con Dio di alcuni suoi figli, e dalla quale sciamarono verso i monti dell'interno eremiti di santa vita, Pietro potè ricevere il seme della sua vocazione eremitica. E dalla Ferrara, ad un tempo suo monastero e sua patria di origine per la vicinanza al Castrum Sancti Angeli , egli, giovane certosino, partì, non senza dubbi e timori, per recarsi in Abruzzo a compiere il suo primo esperimento di  eremitismo.  
Consolidata nella pratica la sua vocazione alla solitaria lotta col Tentatore, Pietro si recò poi a Roma e quindi se ne tornò sulle vette d'Abruzzo confermato nel suo intendo di cercare la perfezione religiosa nel silenzio e nel sacrificio. Così percorse a ritroso il cammino di San Benedetto e da cernobita si fece eremita, e tuttavia non dismise l'abito monastico e solo irrigidì la regola, con la solitudine, penitenze, digiuno e freddo. Ma, come San Benedetto, fu raggiunto da compagni desiderosi di seguire il suo esempio e divenne fondatore di monasteri ai quali diede una nuova regola così innestando un nuovo ramo sulla vigorosa pianta benedettina.
Come i digiuni, strenui ma attentamente calibrati, non vinsero la sua tempra, visto che sessantenne raggiunse Lione a piedi, così come la solitudine non corrose la sua mente e quanto aveva studiato in gioventù. Infatti non dimenticò il latino nè le norme canoniche e civilistiche, nè dismise la scrittura o lo studio , e come utilizzò i rimedi ed i medicamenti dei Cistercensi in favore degli ammalati, così grazie alla loro sapienza edilizia, economica e giuridica potè costruire, riparare, sostenere economicamente i monasteri e rivendicarne i diritti contro le soperchierie dei prepotenti feudatari.
Nel 1291, già assai avanti negli anni, tornò probabilmente alla Ferrara per partecipare al funerale di Malgerio Sorel junior che fu valletto e falconiere dell'imperatore Federico II, che due volte aveva sostato alla Ferrara. Perciò l'effige di Pietro, con quella dei Celestini che lo accompagnavano, fu fissata nell'affresco che eterna il funerale di Malgerio, il miles e magnate  che dimise le pompe del secolo e si fece cistercense. Infatti attorno al catafalco del conte-monaco si vedono, oltre  ai cistercensi biancovestiti, sbarbati e con la tonsura, che vegliano reggendo in mano rosse candele, sei monaci che per veste bianca e cocolla nera sembrano essere Celestini. Disposti ai due estremi della teoria dei monaci biancovestiti assistono alla cerimonia privi di candele e si distinguono dai Cistercensi anche perchè hanno la barba . L'ultimo di questi monaci sulla sinistra è un vecchio patriarca magro e un pò curvo, con capelli a caschetto inondati di canizie al centro, con lunga barba incolta e bipartita, perchè più rada al centro, che somiglia in modo impressionante, alla raffigurazione di Celestino nel codice dell'Opus Metricum, ispirata e verificata dal cardinale Stefaneschi che vide e conobbe il Papa Angelico.
E facile osservare che mentre  il sovrastante affresco della Madonna tra i santi Pietro e Paolo, fatto dipingere in vita da Malgerio, ha la fissità e le forme stereopite dei volti della pittura bizantina la scena del funerale di Malgerio è di una diversa mano che si sforzò di rappresentare fisionomie reali: basti notare che a fianco del patriarca nerovestito è un monaco giovane, vigoroso, con barba nera, che mostrano anche i suoi compagni. Dunque anche i visi, i capelli, la barba e l'espressione, oltre che le vesti, distinguono questi monaci da quelli della Ferrara, certo più stereopiti. E perciò probabile che subito dopo la deposizione di Malgerio, un pittore, diverso da quello dell''orcosolio,, forse un monaco della Ferrara o un artista appositamente chiamato, abbia fissato la scena delle esequie ed i volti degli ospiti.Se ciò  rispondesse al vero sarebbe questo un ritratto, databile con esattezza e realistico del santo, confermato dalle descrizioni delle fonti e dal ritratto ispirato dallo Stefaneschi, mentre è invece certo che sono idealizzate ed esemplate sulla iconografia di S.Francesco, le iconografie, come ad esempio l'affresco di Casaluce, che rappresentano Pietro sbarbato, giovane e con la tonsura addirittura nelle vesti di papa, che lo plaudono ottuogenario.

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